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ENGLISH EXCERPT:
"Claudio Milano does not give up anything exploring and sparing no
energy, every field of activities congenial to him. His interest in the artistic use of the human voice was soon fed by major incentives, from Artaud and Carmelo Bene's theater to Mike Patton and
Demetrio Stratos' music. And of the latter, along with John De Leo, Boris
Savoldelli and Stefano Luigi
Mangia, Claudio is considered a sort of heir. Two audiobooks
(the second one, “Bath Salts”, with tones that are generally more gloomy), in both cases, the music explores a chamber and strongly theatrical dimension, which uses electronics and some element of
jazz to enrich with dramatic contrasts the musical argument. On the whole, Milano's voice reigns as an instrument of impressive ductility."
Fabrizio Versienti, Musica Jazz #759, February
2014
photo by Andrea Corbellini
ESTRATTO ITALIANO:
"Milano non rinuncia a nulla esplorando senza risparmio ogni ambito
d'attività a lui congeniale. Il suo interesse per l'uso artistico della voce umana si è nutrito ben presto di stimoli importanti, dal teatro di Artaud e Bene fino alla musica di Mike Patton e Demetrio Stratos. E proprio di quest'ultimo, insieme a John De Leo, Boris Savoldelli e Stefano
Luigi Mangia, viene ritenuto una sorta di erede. Due audiolibri (il secondo, Bath Salts, con toni che si fanno generalmente più corrischi), dove in entrambi i casi, la musica esplora una dimensione
cameristica fortemente teatralizzata, che usa l'elettronica e qualche elemento di jazz per arricchire di contrasti drammatici il discorso musicale. Su tutto, regna la voce di Milano, strumento
d'impressionante duttilità."
Fabrizio Versienti, Musica Jazz #759, Febbraio 2014
Recensione concorso "C. Bettinardi" - Piacenza, 30 gennaio
2010.
BETTINARDI- La finale della sezione Solisti sarà disputata nella
serata di giovedì 11 febbraio
Mangia incantevole tra i 6 finalisti
Ma il premio del pubblico è andato al saxofonista Trabucco
PIACENZA- Il pianista William Greco, 22 anni, da Nardò (Lecce). La cantante Chiara Izzi, 24 anni, da Campobasso. Il cantante Stefano Mangia, 28 anni, da Galatina (Lecce). Il violinista Daniele
Richiedei, 25 anni, da Bagolino (Brescia). Il chitarrista Martino Roggio, 29 anni, da Sassari. Il saxofonista (contralto) Manuel Trabucco, 23 anni, da Silvi Marina (Teramo). “Il catalogo è questo”,
per dirla con il Leporello di Mozart, dei sei giovani jazzisti “promossi” alla finale della sezione “A” (riservata ai solisti”) del concorso nazionale “Chicco Bettinardi - Nuovi talenti del jazz
italiano”, la competizione organizzata dal Piacenza Jazz Club (in memoria di un indimenticabile
amico) giunta quest’anno alla settima edizione. La finale della sezione “Solisti” sarà disputata al Milestone di via Emilia Parmense 27, sede del Piacenza Jazz Club, la sera di giovedì 11
febbraio.
L’altosaxofonista Manuel Trabucco e il cantante Stefano Mangia si sono guadagnati i galloni di finalisti giusto l’altra sera, nel corso dell’ultima semifinale della sezione “solisti”, presentata dal
presidente del Piacenza Jazz Club Gianni Azzali e disputata al Milestone davanti alla giuria presieduta dal maestro Giuseppe Parmigiani. A portarsi a casa il “premio del pubblico” è stato Trabucco,
un saxofonista tecnicamente agguerrito, dallo stile grintoso e pulitissimo a un tempo: alle prese con Lady bird di Tadd Dameron,
Portrait of Jennie (uno (corsivo) hit (tondo) di Nat “King” Cole) e Impressions di John Coltrane, Trabucco si è dimostrato una “macchina da note” in grado di macinare frasi su frasi senza la minima
sbavatura.
L’altra sera, comunque, il concorrente che più ha affascinato il vostro cronista è stato il cantante Mangia, che unisce un’estensione stupefacente (dal Mi sotto il Do centrale la sua voce, sulle ali
del falsetto, vola fino al Sol sopracuto) a un’assoluta originalità (merce rara, oggi); e che sa mettere al servizio dell’una e dell’altra ogni genere di trucchi (certi passaggi ricordavano il
Demetrio Stratos di Metrodora e Cantare la voce). Forse Mangia non possiede tutte le virtù del cantante jazz ideale (nella jam finale con gli altri concorrenti non èche abbia sfoggiato un senso dello
swing travolgente) ma ha
scelto un repertorio fatto a pennello per valorizzare le sue qualità: due fascinose composizioni sue (scrive pure, questo qua), le lente e sognanti Oriental eyes e Prayer to time, e una resa “in
moviola”, dolcissima e rallentata fin quasi al deliquio, di Days of wine and roses di Henry Mancini. Meritevole di lode, comunque, anche il terzo concorrente: il batterista Antonio Romanelli,
casertano di Rocca d’Evandro, che ha sfoggiato un bagaglio tecnico completo e di un gusto eccellente in classici come Monk’s dream del grande Thelonious, Footprints di Wayne Shorter e Matrix di Chick
Corea.
Ad accompagnare tutti e tre è stato il Trio Bettinardi, la sezione ritmica “di casa” del Piacenza Jazz Club: Mauro Sereno al contrabbasso, Luca Mezzadri alla batteria e l’effervescente pianista
Stefano Caniato chiamato a sostituire il collega “titolare” Erminio Cella, influenzato.
I tre hanno aperto la serata con una scintillante versione del classico bolero cubano Contigo en la distancia, usato a mo’ di sigla.
Alfredo Tenni
Recensione Cd di Stefano L. Mangia in "Musica Jazz", N.
11/2009.
"PAINTING ON WOOD - PITTURA SU LEGNO"
(Leo Records - CD LR 536, distr. Ird)
Mal Waldron / The Lights in My Shade / Martina / Bone / Cielo e Terra / Prayer to Time / Dis-Orientated Thoughts / Oriental Eyes / Ladder / My One And Only Love.
Stefano Luigi Mangia (voc.), Gianni Lenoci (p., mbira), Pasquale Gadaleta (cb.), Marcello Magliocchi (batt., ringmantradan) - Conversano (Bari), 30 e 31-10-08.
"Ecco un nuovo talento del canto jazz da seguire con attenzione. Mangia viene da Galatina e ha studiato con Lenoci al conservatorio di Monopoli, esplorando per conto proprio le difonie mongole e la
tradizione indiana. Il suo modo di cantare appare fragile, sommesso, una sorta di notturno sussurro à la Chet Baker, ma i sottili scarti interpretativi e linguistici lo rendono qualcosa d'altro e di
abbastanza inaudito: basti ascoltare il suo modo si fare scat o la sua pronuncia dell'inglese, che sfuggono a qualsiasi regola o convenzione.
In questo album di debutto per la britannica Leo, la ricerca di nuove sfumature e colori vocali trova proprio nel maestro e mentore Lenoci un partner ideale, altrettanto capace di muoversi tra
tradizione jazz e suggestioni altre, inseguendo ogni possibile slittamento di senso della materia musicale. L'ispirazione (e il titolo) vengono da un dramma scritto per il teatro da Ingmar Bergman
nel 1954. Ma qui ci si muove tra composizioni originali (otto, tra cui una di Lenoci intitolata e ovviamente dedicata a Mal Waldron),uno standard (My one and only love) e un tema altrui (Bone di
Steve Lacy, in una versione davvero da togliere il sonno)".
F. Versienti.
"CORRIERE DEL MEZZOGIORNO" , sabato 10 ottobre
2009
di Fabrizio Versienti
"Stefano Mangia, una voce (Jazz) a fior di
pelle"
E’ Bergman a fornire il titolo e l’ispirazione a Painting on Wood, cd d’esordio del giovane cantante salentino Stefano Luigi Mangia: musicista dotato e sensibile, che unisce all’approccio
istintivamente jazzistico al canto, nutrito di ascolti dei grandi crooner americani, lo studio e l’affinamento di tecniche non «ortodosse» utilizzate nel canto mongolo e in quello indiano.
Ma la sua cifra dominante resta afroamericana, una presenza vocale elegante e «sussurrata», a fior di pelle e di nervi, che può ricordare un Chet Baker o un Little Jimmy Scott.
C’è un equilibrio fragile e instabile nella voce di Mangia, e anche un’alchimia inedita e affascinante fra tradizione e sperimentazione.
Non a caso, infatti, fra i nomi ringraziati nelle note di copertina dell’album, edito dall’etichetta inglese Leo Records, figurano tra gli altri cantanti «di frontiera» come Demetrio Stratos e Cathy
Berberian, compositori contemporanei americani tra i più aleatori e ineffabili, come John Cage e Morton Feldman, e grandi del jazz più vicini all’utopia di una musica universale e magari anche
misticamente ispirata, come Ornette Coleman e John Coltrane.
Al lavoro nelle dieci tracce del cd, registrato a Conversano nell’ottobre 2008, un piccolo gruppo affiatato di musicisti: il pianista Gianni Lenoci, che di Mangia è stato anche maestro negli studi di
perfezionamento in musica jazz al conservatorio di Monopoli, il contrabbassista Pasquale Gadaleta e il batterista Marcello Magliocchi.
In scaletta, un classico di Steve Lacy, Bone, tradotto in un’inquietante litania scandita dalla mbira africana (il «pianoforte tascabile» fatto di lamelle metalliche che si suonano con il pollice), e
lo standard My One and Only Love.
Poi, otto composizioni originali di Mangia (quattro), Lenoci (tre), Mangia e Lenoci insieme (una). Splendido il brano di solo pianoforte messo da Lenoci al centro del
cd, tra Cielo e terra. O l’iniziale Mal Waldron, dedicato appunto al grande pianista che fu ideale partner di Lacy. Ma Bergman? Painting on Wood (Pittura su legno) era un suo testo teatrale scritto
nel 1954: a indicare la strada di uno studio analitico dei gesti e dei sentimenti.
Fabrizio Versienti in "Corriere del Mezzogiorno", sabato 10 ottobre 2009
RECENSIONE DI “PAINTING ON WOOD” pubblicata sulla Rivista
Olandase JazzFlits
di Herman Te Loo
Stefano Luigi Mangia feat. Gianni Lenoci
By Herman Te Loo
Il giovane cantante italiano Stefano Luigi Mangia si muove molto abilmente tra tradizione e innovazione.
Molti giornali parlano del suo CD di debutto "Pittura su legno" caratterizzato prevalentemente da tempi lenti i quali tendono alle ballate jazz. Nel suo quartetto un importante ruolo è svolto dal
pianista Gianni Lenoci, che firma a suo nome quattro dei dieci pezzi (di cui uno con lo stesso Mangia). Il primo brano dal titolo “Mal Waldron” è dedicato a questo grande artista del jazz. La bella
composizione ricorda il movimento "The Seagulls di Kristiansund" del vecchio maestro. Qui Mangia si rivela come un cantante dal timbro e dal gusto brillante.
Nel brano 'The Lights of my Shade” sembra come cogliere delle associazioni con Little Jimmy Scott. Mangia lascia ancora sentire anche in questa composizione, che non ha ascoltato soltanto jazz.
Tant’è vero che lo stesso dichiara di aver studiato e tratto le principali ispirazioni dalla musica della Mongolia, del Pakistan e dell'India settentrionale.
Ed ancora c’è "Bone" di Steve Lacy ed un’altra composizione di Mangia dal titolo “Dis-Orientated Thoughts”. Questi ultimi due darebbero variazione rispetto alla maggior parte del repertorio il quale
c’è da aggiungere che è sostenuto in parte dal sottile gioco del bassista Pasquale Gadaleta e in parte da quello del batterista Marcello Magliocchi i quali contribuiscono all’alta qualità del
progetto rendendolo ancora più affascinante.
....
Herman te Loo in "JazzFlits" n° 123 del 7 Settembre 2009.
“La Gazzetta del Mezzogiorno”
Martedì 11 Agosto 2009
JAZZ: IL VOCALIST PUGLIESE IN STUDIO D’INCISIONE COL SUO MAESTRO
GIANNI LENOCI
"Pittura su legno" per voce virtuosa
Il cd d’esordio di Stefano Mangia
ETNIE DIVERSE
Stefano Luigi Mangia ha approfondito anche il canto mongolo, pakistano e indiano
di UGO SBISÀ
Il silenzioso, ma approfondito lavoro svolto dal pianista Gianni Lenoci ai corsi di jazz del Conservatorio di Monopoli dà i suoi frutti e, tra questi, merita decisamente di essere segnalato il bel cd
d’esordio del vocalist pugliese Stefano Luigi Mangia dal titolo "Pittura su legno", nel quale il Nostro si avvale della collaborazione anche compositiva dello stesso Lenoci e di due nomi ormai noti
del jazz pugliese come il contrabbassista Pasquale Gadaleta e il batterista Marcello Magliocchi.
Mangia, diciamolo subito, non è un vocalist facilmente collocabile, nel senso cioè che i suoi studi lo hanno portato ad approfondire anche tecniche vocali decisamente extrajazzistiche, come ad
esempio quelle legate alle etnìe mongola, con il suo troath singing e ancora indiana
e pakistana. Ma dopo aver fatto tesoro di queste esperienze uniche – tra l’altro suona anche il flauto e il sax -, ha saputo ricondurre tutto con una non comune abilità nell’ambito di un plot
jazzistico che sa praticare tanto i linguaggi impervi dell’avanguardia, quanto percorrere le strade della tradizione, unendo gli uni alle altre con grande spontaneità.
Il disco, il cui titolo, spiega lo stesso Mangia, è ispirato a un dramma del grande maestro svedese Ingmar Bergman dal titolo "Painting on Wood", consta di dieci brani, quattro a firma dello stesso
Mangia e quattro di Lenoci – uno dei quali però, Martina, reca anche la firma di Mangia per i testi – oltre a due temi non originali: il classico My One and Only Love e il non meno noto Bone di Steve
Lacy. Ed è decisamente un piacere seguire le evoluzioni vocali di Mangia, che canta e improvvisa come un normale strumentista, raggiungendo soglie sonore che, attualmente, in Italia, sono prerogativa
della sola Maria Pia De Vito.
E non minore raffinatezza emerge anche dai testi nei quali Mangia rivela profondità e sensibilità fuori dal comune. È il caso di The Lights of my Shade, nel quale l’autore si sofferma a dipingere i
colori contrastanti della solitudine con i suoi “bianchi respiri”, del metafisico Prayer to Time o del vagamente allucinato Dis-orientated thoughts, sorta di variazione sull’idea delle paure.
Un esordio maturo al quale Lenoci e il resto del gruppo offrono un contributo significativo e che fa ben sperare per il futuro.