Stefano Luigi Mangia/Adolfo La Volpe/Giorgio Distante

Glad to Be Unhappy

Recensione di Claudio Milano

in ESTATICA

Pubblicato il 07/07/2014

Suoni elettro-acustici estranei ad ogni tradizione italiana introducono con dolcezza alla materia dell'album. No, la copertina di Maria Teresa De Palma come poteva ingannare? Un'opera incantevole, che anche se solo fotografata, riesce a comunicare una morbidezza fanciullesca, nonostante ritagli di reticolati metallici, sagomati ad alberi e sole/luna, affiancati da cartoncini di diverso colore e forma, la scritta “viens avec moi”.
Elettronica, dicevamo, a ricreare fanciulleschi glockenspiel affiancati ad una chitarra acustica appena sfiorata, ad una melodica altrettanto accennata, il notevole timbro della tromba di Giorgio Distante e... la voce.
Quella di Stefano Luigi Mangia, didatta ed interprete, che solo l'ascolto del disco saprà chiarirvi perché, ad oggi, non alla ribalta di cronache e classifiche di sorta.
Per paradosso. Si, proprio per paradosso.
Stefano, assieme a Dalila Kayros e John De Leo, è per chi scrive la voce più importante del panorama italico a latere e non. Quello che fa della scuola della Nuova Vocalità humus fertile per chiunque a livello mondiale voglia avvicinarsi ad una nuova estetica del canto. Perché si, se si eccettua l'ultima decade, in Italia “saper cantare” è stato sempre importante.
Mangia, conosce il linguaggio del jazz, tradizionale e non, della lirica, da quella “classica” a quella strettamente “contemporanea”. Ma è anche esperto in emissioni “estreme”, armonici, subarmonici, suoni aritenoidei, fischi (whistle register intendo, non il “fischiare”). Il tutto ottenuto in assoluta leggerezza, senza mai impiego di troppa aria e “proiezione”. Stefano è eleganza, grazia, ma non è mai mellifluo.
E'qui che troviamo l'interprete, oltre che al cantante. La sua emissione sa essere carezzevole, fragile, ma sempre estremamente intima, profonda, cosa che lo rende adatto tanto ad un repertorio brillante che ad uno drammatico. Mangia non è un'esperto di beatboxing come Savoldelli, Hera, De Leo, ma se affronta un pezzo sa portarti dagli inferi alle stelle, accarezzandoti l'anima fino a commuovere.
Nella sua voce c'è la “pasta” del jazzista vero, non del funambolo d'intrattenimento, per quanto colto. Nina Simone, Chet Baker, Tim Buckley, Paolo Saporiti, emergono dalle sue corde creando paralleli improbabili con l'amore per Stratos (studiato, rimasticato, ma MAI citato), la frammentazione linguistica di Phil Minton, il candore del canto da tenore leggero tardo medievale.
Il suo è un canto fatto di sensi in costante seduzione, già a partire dall'iniziale Glad to Be Unhappy, emozionante ed emozionata rilettura del brano di Rogers/Hart.
In Brighten (for Teresa) del compagno di viaggio e chitarrista Adolfo La Volpe, è l'elettronica a creare un substrato etereo e tremulo su cui s'appoggia un canto di gran levità, perfettamente “centrato” nell'emissione, anche sulle frequenze più gravi, dove mai viene cercata potenza superflua. Anche il solo di tromba, s'adagia su una materia fatta di cotone inumidito di umori tristi e si muove trasversalmente. Ecco, l'armonia in questo disco è del Novecento rinnegato, ma non suona mai disturbata, andando a lambire le grandi riletture degli standard classici nella stessa edificazione del nuovo. The Solitude of Things, di Volpe, ha questo sapore, quello di un nuovo standard. Nel finale, suoni di “prevocale”, giochi dal sapore infantile echeggiano sapori della psichedelia barrettiana. Non avesse la stessa fame acida, il parallelo naturale di Mangia sarebbe la, vergognosamente dimenticata Patty Waters. The Crisis ha il sapore delle melodie crimsoniane di Discipline, ma presenta improvvisi “crolli” microtonali, che affiancati ad un'estetica da musique concrete e a un'estetica glitch, non possono suonare null'altro che portatori di un'identità inequivocabile.
Il sistema armonico misto della superba Rush, le sue armonizzazioni aperte per elettrica, sembrano portare il Sylvian di Blemish e Manafon a casa del Buckley Sr. di Anonymous Proposition, tra colori di un'elettronica pari a pulviscolo alchemico che letteralmente stordisce. Un gioiello.
Ancora la penna di Mangia su Is This Your Time, dove, per la prima volta nel disco si ascoltano dei “fortissimo” vocali associati a escursioni impressionanti, che da subarmonici sull'ottava 0, superano progressivamente l'estensione del piano emulando e battendo in possibilità timbriche elettronica e chitarra elettrica. Fumettoso, teatrale, intenso, qui, tanto più, unico, sorprendente, conturbante, gli altri aggettivi trovateli voi, non vi mancheranno.
Is Love an Illusion si apre con una pioggia rumorista che mai però conduce ad una vera disintegrazione della forma, tant'è che presto appare il canto, con una melodia non meno che splendida. Per chi scrive, altro gioiello del disco, essenziale nel suo svolgimento lineare. Purple, Lavender, Black, ha il colore di certa saudade, accarezzata tante volte dalla voce di Wyatt ed è un altro episodio a firma La Volpe. Dopo il solo di tromba, sorprende il deragliamento su lidi acidi con voce in aspirazione, funzioni detune ed esplorazioni dello spettro sonico in salsa avant-psych. Unico momento autenticamente terrifico dell'opera.
Si torna su momenti di una morbidezza assai più rassicurante con Unhappy to Be Glad.

Conclusione:

L'anti-indie italico, ma anche l'anti jazz italico, qui non c'è puzza di paraculismo, fighettismo, scazzo, accademismo, snobismo, autocompiacimento nell'essere “bravi”. Piacevole ma non confortevole, estremo ma intimissimo e accarezzato da melodia vera, avvincente, non è un caso che Glad to Be Unhappy sia stato pubblicato da un'etichetta straniera illuminata come la Leo Records, che stia trovando casa tra radio di tutto il mondo, ma che le recensioni italiane ad esso dedicate, abbiano colto il suo essere “sfuggente” non come stimmate artistica, ma come limite, brancolando nel buio.
Per chi scrive, il disco di cantautorato nobile italiano più bello da tanto tempo a questa parte, assieme a The Restless Fall di Saporiti, L'Abito di Alessandro Grazian, Tutta la Dolcezza ai Vermi di Pane, al migliore Capossela e Humpty Dumpty, ma si sa, appena subentra qualcosa che non sia immediatamente e unilateralmente codificabile come minima variante sul tema, critica e pubblico oggi, fanno spallucce e relegano in un cantuccio.
Figuriamoci se Stefano lo merita, a lui, solo assoluto rispetto e gratitudine.

Stefano Mangia-Adolfo La Volpe-Giorgio Distante: Glad to be Unhappy

"Glad to be unhappy", the famous song by Rodgers & Hart, is an opportunity to build a modern musical texture for vocal jazz standard. Mangia's melancholy vocal is a patchwork of influences: the dark mood of the fifties' jazz singers, the Middle East inflections (the result of the studies pursued by the singer in recent years), the enchantments of the Sigur Ros' voices and the contemporary patterns. La Volpe and Distante suit this renewal through the filling of forms: it consists of a musical furnishing in which the electronic effects play an important part, referring to the music of old New York's downtown and especially to the sonic developments of the current Nordic jazz. In the end it is as if Sinatra had been combined with Jónsi Birgisson or Arve Henriksen.

"Glad to be unhappy" del trio composto dal cantante Stefano Mangia, il chitarrista Adolfo La Volpe e dal trombettista Giorgio Distante è un nuovo progetto che sconvolge le normali dinamiche improvvisative che sono la regola in casa Leo: partendo dal brano di Rodgers & Hart, i tre musicisti imbastiscono un tessuto moderno per lo standard. Se nel tempo i sentimenti non presentano modificazioni, allora è possibile anche vestirli di nuovi abiti. La vocalità melanconica di Mangia è un coacervo di influenze: riproduce l'umore oscuro dei cantanti jazz degli anni cinquanta, presenta delle inflessioni medio-orientali (frutto degli studi perseguiti dal cantante in questi anni), ricerca gli incantesimi vocali dei Sigur Ròs e non dimentica le istanze contemporanee. La Volpe e Distante assecondano questo rinnovamento attraverso il riempimento delle forme: questo si compone di arredamenti musicali dove gli effetti di elettronica giocano una parte importante, rimandando ad istanze downtown neyorchesi e soprattutto alle sonicità di molta parte dell'attuale jazz nordico. Alla fine è come se Sinatra fosse stato combinato con Jònsi Birgisson o Arve Henriksen. Un planetario esempio di creatività progettuale.
Autor: Z.K. Slabý

Stefano Luigi Mangia / Adolfo La Volpe / Giorgio Distante: Glad To Be Unhappy

Billy Bottle & The Multiple: Unrecorded Beam

Leo Records (www.leorecords.com)

Jednou z metod, kterou Leo Feigin na svých Leo Records bezpečně ovládá, je prezentace (staro)nových hudebních formací, tedy seskupování a přeskupování muzikantů, z nichž někteří jsou s ním už nějaký čas spojeni, nové zabarvení však bývá docíleno přítomností „absolutně“ neznámých tváří. Typickým dokladem takové machinace (možná spontánního setkání, na tom ve výsledku nesejde) je trio Stefano Luigi Mangia (hlas, melodika), Adolfo La Volpe (elektrické i akustické kytary, elektronika) a Giorgio Distante (trubka, „živá“ elektronika), které v italském studiu Mediterraneo nahrálo devět skladeb albaGlad To Be Unhappy. Tím nováčkem je Distante, zatímco Mangia má na Feiginově labelu k dobru alba Painting on Wood (kvartetové, s klavíristou Giannim Lenocim) a Ulysses, na kterém účinkuje i La Volpe, který se objevil už na CD Entrance s Tran(ce)formation Quartetem. Všichni tři pocházejí z Apulie, regionu v jihovýchodní Itálii, což není údaj zanedbatelný, protože tamní zpěvní tradice se zejména v projevu Mangii do značné míry uplatňuje.

Předznamenáním dosti jednolitého toku La Volpeových a Mangiových skladeb je balada Richarda Rodgerse a Lorenze Harta Glad To Be Unhappy, dodává totiž celku přídech romantizujícího napětí, ve kterém pochraptivěle zahalený Mangiův hlas podzimkuje a fidoncuje s vtíravým intimissimem. Tento evergreen zde sice slyšíme téměř v orginální podobě, pouze s rozcapartěnými nástroji a elektronikou, ale pozor! to vše se může proměnit (počkejte si na závěr). Další sled bezprostředně na tuto nostalgizující, potměchuťově nástražnou rovinu, plnou emocí, navazuje: má jak introspektivní intimitu, tak narativní scenéričnost, připomínající filmovou hudbu (Brighten), naříkavostní trpitelství dochází až k hranici podbízivosti, což se záhumenkový doprovod snaží jak podpořit, tak vyvrátit (téma osamění v The Solitude of Things). Ale není třeba uvádět jednotlivé skladby: Mangia se v podstatě pronaříká či prostýská celým albem, jeho nešťastnění má až omamující zavíjivost, stěžovatelsky nám svěřuje své hoře, v nadsazeném zoufalostnění se zarouhává, s čímž se pojí i nasládlá vehemence v italském stylu, neboť tady se prožívá vše vskutku naddimenzovaně. Naštěstí hudba dokáže s vokálním výtrysknostním mermomocněním, vyvolávajícím až iluzi sebepoškozování, leckdy kontrastovat v rozdurděnkách, zadrcávaných vrzenkách či ve vrtošivé přívalnosti, to jí však většinou zatrhne hlasová nešťastnost na x-tou. A tak s houževnatou rozderností probrouzdáváme všemi tématy od lásky (je to jen iluze?) po další krizové situace, uznání si určitě zaslouží Distante, jehož trubka zvládá výřečnou výplašnost až po zádernost. V závěru pak kytara La Volpeho situaci zklidní, zvěstovatelský vokál se dostává do smířlivější polohy, upokojňující áchání a ochání zakončí smírčí trubka. A to je i slíbený zvrat: zakončení se totiž v protikladu k úvodní (a také titulní) kompozici nazývá Unhappy To Be Glad, ale ten rozdíl, zdá se, má svoji žertovně světlou stránku. Takže se můžete rozhodnout: buď být spolu s italskou trojicí spokojení, že jste nešťastní, nebo být nešťastní z toho, že jste spokojení. Anebo můžete také tuhle desku (po)minout.

Glad To Be Unhappy (Leo Records).
Stefano Luigi Mangia, voice, melodica; 
Adolfo La Volpe, electric guitar, acoustic guitar, electronics;
 Giorgio Distante, trumpet, live electronics
Atmospheric, mood music is the theme here; 'ambient' as Brian Eno would name it back in 1978, music 'intended to induce calm and a space to think' rather than,
as canned music did, 'proceed from the basis of regularizing environments by blanketing their acoustic and atmospheric idiosyncrasies'.
(Brian Eno, September 1978, sleeve notes for AMBIENT 1, MUSIC FOR AIRPORTS, Polydor Records LP AMB 001).
Whereas canned music was often realised as collections of easily identifiable songs and tunes, reconstituted in an imitative and plagiaristic manner, Eno's Ambient Music was written originally and to purpose, as is this here. All tunes come from the creative pens of Mangia and La Volpe except for track 1. That is the title track 'Glad to be Unhappy' and most oddly in the circumstances comes from the pens of Rodgers and Hart.
There is constant fluctuation between shades of absence and sadness, reminiscence and a downward modulation of atmospheric density almost to the point of depression.  You will be quieted, but you won't be dulled.
Reviewed by Ken Cheetham

- Singer/Composer/Educator -

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stefanoluigimangia@gmail.com